
PIU’ DI UN CONFLITTO TRA PAESI
Il conflitto tra Ucraina e Russia ha coinvolto non solo dinamiche politiche e militari, ma anche questioni religiose e una complessa dimensione informativa incentrata su temi come l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’autodeterminazione, la sicurezza e le azioni che hanno preceduto le operazioni militari del 2014 e del 2022. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici garantisce la libertà di religione e di espressione (articoli 18 e 19). In modo analogo, l’OSCE/ODIHR invita a prestare particolare attenzione nel limitare la libertà religiosa durante i conflitti armati.
LE GARANZIE COSTITUZIONALI E INTERNAZIONALI IN CONFLITTO CON LE AZIONI DEL PRESIDENTE
Nel settembre 2024, il presidente ucraino Zelenskij ha annunciato il divieto della Chiesa ucraina legata al Patriarcato di Mosca e guidata dal metropolita Onufry. Tale decisione è stata oggetto di critiche da parte della Missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite in Ucraina, del Rapporto sulla libertà religiosa internazionale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e di Amnesty International.
CHIESA, TENUTA SOCIALE, E SERVIZI DI SICUREZZA
La Chiesa ucraina aveva dichiarato di aver interrotto i rapporti con Mosca dopo l’inizio del conflitto e il metropolita Onufry aveva preso le distanze dall’invasione, esprimendo sostegno all’esercito ucraino. Il dibattito pubblico sulla questione ecclesiastica in Ucraina è stato fortemente influenzato da posizioni favorevoli all’attuale leadership politica, da ambienti esterni al contesto ortodosso e da voci critiche verso il ruolo storico della Chiesa ortodossa nel paese, incluse alcune testate mediatiche come United Media 24.

Metropolita Onufry della Chiesa ucraina
La crescente polarizzazione nella società ucraina è stata associata a un incremento di tensioni sociali che, secondo alcune analisi, possono avere implicazioni sul rispetto dei diritti umani fondamentali, inclusa la libertà di coscienza, in particolare per i cittadini ucraini di fede ortodossa e per le comunità religiose legate alla tradizione ortodossa. Diversi rapporti segnalano un possibile squilibrio nel rapporto tra Stato e Chiesa, tradizionalmente improntato a una cooperazione sinfonica e sinodale, con un’accentuata influenza statale. In questo contesto, sono state segnalate attività dei Servizi di Sicurezza che avrebbero operato in modo da sollevare preoccupazioni riguardo al rispetto delle garanzie democratiche, anche alla luce delle aspirazioni dell’Ucraina a un’integrazione nell’UE. Va inoltre rilevato che il Servizio di Sicurezza è direttamente subordinato all’autorità presidenziale, e alcuni osservatori hanno sollevato interrogativi sul grado di indipendenza e trasparenza delle sue operazioni, in particolare in merito a perquisizioni, condanne e formulazione delle accuse nei confronti di membri del clero o fedeli affiliati alla Chiesa ucraina oggetto di contromisure come il Myrotvoretz.
LA CHIESA NEL CAOS, LA CHIESA DI STATO, E LA CHIESA DISSIDENTE
La Chiesa d’Ucraina recentemente istituita e riconosciuta a livello statale sembra allinearsi, in diverse occasioni, alle posizioni dell’esecutivo. Tra le manifestazioni di questo orientamento vi sono dichiarazioni di sostegno a proteste in altri paesi, come la Georgia, nonché il coinvolgimento in iniziative che hanno riguardato edifici religiosi precedentemente appartenenti alla Chiesa ucraina.
Sia in Ucraina che in Russia, esponenti politici hanno fatto ricorso a interpretazioni selettive della storia per sostenere le rispettive narrative nazionali e strumenti di comunicazione pubblica. In questo contesto, osservatori critici hanno rilevato che le istituzioni religiose, nel loro complesso, non sempre hanno preso posizione in modo chiaro contro l’utilizzo strumentale della fede, della religione e del nazionalismo, elementi che i Concili della tradizione hanno più volte condannato, in particolare l’etno-filetismo. Alcune fonti hanno inoltre sollecitato il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, nella persona del Patriarca Bartolomeo I, a esprimersi in modo più netto rispetto a episodi attribuiti alla Chiesa d’Ucraina riconosciuta dallo Stato, che comprenderebbero azioni considerate problematiche nei confronti di edifici religiosi, del clero e dei fedeli appartenenti alla Chiesa ucraina. Non è la prima volta che si sollevano critiche riguardo all’operato di tale Chiesa, come dimostrano i precedenti legati alla mancata registrazione dell’’associazione religiosa delle Chiese ortodosse romene in Ucraina’, che aveva suscitato perplessità in ambito ecclesiale.

I Patriarchi di Costantinopoli, Bartolomeo I, e di Mosca, Kirill I.
Alcune Chiese sorelle, tra cui quella rumena, hanno invitato il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ad avviare un confronto fondato sulla tradizione ecclesiastica, piuttosto che su criteri etnici o dinamiche politico-nazionali. In questo contesto, sono state espresse riserve anche da parte delle Chiesa serba e bulgara, in merito alla decisione del Patriarcato ecumenico di concedere il tomos dell’autocefalia della Chiesa ortodossa d’Ucraina senza una previa conciliazione e riconciliazione tra le giurisdizioni presenti in Ucraina, né un dialogo con il Patriarcato di Mosca. Secondo questa prospettiva, sarebbe auspicabile un processo di dialogo tra Costantinopoli e Mosca per affrontare in modo costruttivo la complessità della situazione ecclesiastica in Ucraina. La mancata considerazione delle preoccupazioni espresse dal Patriarcato di Mosca riguardo ai confini delle proprie giurisdizioni canoniche è ritenuta da alcuni esperti di questioni ecclesiastiche come un elemento critico. Storicamente, l’Ucraina è stata parte del Patriarcato di Mosca a partire dal 1686, in seguito al trasferimento della metropolia di Kiev dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Un approccio improntato alla conciliazione, alla continuità canonica e alla sensibilità pastorale verso i fedeli in Ucraina ha caratterizzato anche la posizione assunta dalla Chiesa georgiana.

Il complesso monastico di Lavra-Pechersk a Kiev
CANONICITA’ O ETNOFILIA?
Le recenti decisioni della Chiesa d’ucraina in merito alla venerazione ufficiale dei Santi e, nel caso di Roman Hryshchuk, agli attributi spirituali ad essi associati, così come le iniziative dello Stato riguardanti la proprietà della Lavra Pechersk, sollevano interrogativi sulla percezione e sulla continuità della fede tra i credenti. Tali sviluppi provengono da una Chiesa sostenuta dallo Stato e riconosciuta solo parzialmente dalle altre Chiese ortodosse, nonché dalle autorità governative, inclusi i servizi di sicurezza. Nonostante entrambe le Chiese rivali presenti in Ucraina condividano le medesime fondamenta teologiche, le dinamiche politiche ad esse collegate stanno contribuendo a una frattura di natura istituzionale e societaria. La prospettiva di una soluzione a questa situazione sembra risiedere nell’autonomia delle autorità ecclesiastiche e nella convocazione di un pan-sinodo. In questo contesto, le recenti azioni della Chiesa d’Ucraina pongono la questione di un possibile intervento da parte del Patriarca ecumenico Bartolomeo I.

Sante Matrona di Mosca e Xenia di San Pietroburgo
Alcune interpretazioni, diffuse in ambito politico e mediatico, descrivono la Santa Rus’ come una costruzione ideologica recente legata alla retorica del governo russo. Tale visione, ampiamente recepita da parte del pubblico occidentale, tende a trascurare le radici storiche e teologiche di questo concetto, che affondano in tradizioni come quelle di Bisanzio e della Terza Roma. Sebbene questi riferimenti siano stati talvolta rielaborati in chiave politica, essi mantengono un valore pre-figurativo, simbolico e analogico che può essere considerato legittimo all’interno della fede.

I ‘portatori di passione’ Romanov
Papa Francesco ha invitato le autorità ucraine ad agire con prudenza nei confronti delle comunità religiose, evitando generalizzazioni, azioni discriminatorie e provvedimenti basati su fonti non verificate o su rapporti provenienti da settori istituzionali oggetto di critiche per politicizzazione. Il Papa ha sottolineato l’importanza di tutelare la libertà religiosa e di coscienza, in linea con l’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che stabilisce che le restrizioni nei confronti dei gruppi religiosi possono essere attuate solo in presenza di motivi concreti e proporzionati, e se risultano necessarie in una società democratica. Nel contesto della guerra tra Russia e Ucraina, si evidenzia una divergenza tra studiosi di ambito ecclesiastico che si attengono a una lettura storica e teologica fondata, come Kallistos Ware, e altri interpreti, come Timothy Snyder, che adottano approcci più marcati da prospettive ideologiche e politiche, contribuendo a una rappresentazione parziale della realtà religiosa e culturale dell’area. Tale dinamica riflette un clima in cui le questioni religiose vengono talvolta inserite in una più ampia contrapposizione politica e culturale. Figure come Aleksej Arestovich hanno sollevato preoccupazioni riguardo agli effetti di alcune politiche statali nei confronti della Chiesa d’Ucraina, sottolineando il rischio di polarizzazione. In questo scenario complesso, la protezione della libertà e l’inclusione religiosa sono elementi fondamentali per il benessere del tessuto sociale, al di là di orientamenti politici e nazionali.
In termini più specifici, i Servizi di Sicurezza operano sotto la diretta supervisione della Presidenza, con una struttura dirigenziale spesso caratterizzata da nomine legate a rapporti personali. Le indagini in corso per presunti casi di tradimento – frequentemente collegate agli organi presidenziali – pongono l’attenzione sia sulla funzione di questi apparati come strumenti di sicurezza nazionale, sia sul loro possibile impiego nell’ambito della gestione del potere politico. La questione della doppia cittadinanza del Metropolita Onufry, ampiamente discussa, è paragonabile a quella di altre figure pubbliche (tra cui Ilya Ponomarev, Artem Skoropadskyi, Kirill Vyshinsky e Maria Gaidar), che non risultano oggetto di misure analoghe, sollevando interrogativi su l’uniformità dell’applicazione delle norme. La controversia sembra ruotare in particolare intorno al ruolo del Metropolita e al suo atteggiamento nei confronti del passaggio di autorità a Epifanio I della Chiesa d’Ucraina. A livello non solo locale, la tendenza a identificare figure religiose di rilievo, promotori di dialogo o semplici fedeli come soggetti critici o sospetti, insieme alla complessa relazione storica tra la Chiesa e il contesto socio-culturale del paese, non favorisce un clima di confronto costruttivo né la ricerca di soluzioni condivise sia a livello particolare che Europeo.
IL PERCORSO EUROPEO
In ambito internazionale, nonostante l’impegno dichiarato in favore della tutela dei diritti delle minoranze e contro ogni forma di discriminazione, la condizione delle comunità dei fedeli in Ucraina – evidenziata anche da dichiarazioni di figure istituzionali statunitensi – ha ricevuto un’attenzione limitata, sia a livello mediatico che politico. Per quanto riguarda l’UE, la mancanza di una posizione chiara e di un impegno coerente nel promuovere il rispetto delle convinzioni religiose rischia di non essere in linea con i principi affermati nel Piano d’Azione delle Nazioni Unite e con l’articolo 35 della Costituzione ucraina, che tutela la libertà di coscienza. Nell’ambito del percorso di adesione all’UE, sarebbe auspicabile che lo Stato garantisse il rispetto delle libertà religiose, lasciando alle autorità religiose la gestione delle rispettive questioni interne e delle relazioni tra i Patriarcati, nel rispetto dell’autonomia spirituale. Qualsiasi azione legale dovrebbe basarsi su prove documentate, su una valutazione individuale dei casi e sull’osservanza del principio della presunzione di innocenza.
IL RUOLO DEGLI STATI UNITI
La percezione negativa della Russia in Occidente e in alcune aree dell’Ucraina non dovrebbe essere generalizzata sulla base del comportamento di singoli individui o delle opinioni di analisti estranei riguardo a figure della fede ortodossa. Sebbene episodi di disordine pubblico che compromettono l’interesse collettivo debbano essere gestiti attraverso gli strumenti legali, la decisione del presidente Zelenskij è stata definita dal capo dell’intelligence statunitense Tulsi Gabbard come una misura critica nei confronti della democrazia e dei diritti dei fedeli. Un’eventuale mancata revisione dovrebbe comportare una risposta da parte degli Stati Uniti, attraverso sanzioni o altre iniziative, come suggerito dalla senatrice Anna Paulina Luna e da altre figure politiche. Per quanto riguarda la costruzione dell’identità nazionale, è importante evitare interpretazioni selettive della storia. La lunga appartenenza dell’Ucraina all’Impero russo e successivamente all’Unione Sovietica rappresenta un dato storico che, pur potendo essere oggetto di analisi critica, non dovrebbe essere cancellato o riscritto attraverso approcci revisionisti. Questo vale anche per la necessità di evitare generalizzazioni e imprecisioni, come quelle del presidente Putin.
CONCLUSIONE
Attualmente, l’Ucraina non soddisfa ancora pienamente i requisiti richiesti per l’adesione all’Unione Europea, secondo i parametri stabiliti dalla Commissione Europea, dall’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e dai criteri di Copenaghen. Tuttavia, il tema centrale riguarda la gestione delle diverse correnti ideologiche che stanno influenzando la coesione sociale, una dinamica osservata anche in altri contesti storici, come nel caso dell’Inghilterra e della Scozia, durante la Guerra Civile Inglese, delle guerre di religione in Francia, o della repressione nei confronti della Chiesa sotto il governo di Vladimir Lenin.
