Le recenti tensioni e scontri a Tripoli hanno riportato con forza all’attenzione le profonde fragilità strutturali della Libia, evidenziando il rischio concreto di un ulteriore precipitare nella paralisi istituzionale. Sebbene, nel breve periodo, si sia raggiunta una pausa delle ostilità tra le milizie, la situazione rimane vulnerabile: ogni scenario di evoluzione politica appare intricato e caratterizzato da incertezze persistenti.
Se il primo ministro Abdulhamid Dbeibah dovesse rimanere in carica — ipotesi condizionata dai vasti malcontenti popolari e dalle rivolte interne che hanno scosso il Paese — ciò avverrebbe in una posizione di crescente debolezza, alimentando un vuoto di potere che favorisce scontri intermittenti tra fazioni rivali. La fragile stabilità, a quel punto, si limiterebbe a una mera arretramento temporaneo delle violenze, senza risolvere le sue cause profonde.
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La Libia si avvia verso una nuova fase di instabilità politica e militare, alimentata dai recenti scontri e dall’indebolimento del governo di Abdul Hamid Dbeibah. Uno degli scenari più preoccupanti riguarda la possibilità che le milizie di Khalifa Haftar possano attuare un blocco delle esportazioni di petrolio, una mossa che potrebbe sconvolgere i mercati energetici mondiali. Le forze russe che appoggiano il generale Khalifa Haftar si starebbero preparando a schierare missili nella base di Sabha, nel sud della Libia. La posizione strategica di questa regione, nel Fezzan a circa 700 chilometri dalla costa, non evita il rischio di un impatto diretto sull’Italia. Grazie a missili come il Kalibr M, in grado di coprire grandi distanze, Mosca potrebbe mettere sotto tiro obiettivi vitali nel nostro Paese, incluse le installazioni militari della NATO come la base di Sigonella o i porti Campani, e minacciare i traffici nel Canale di Sicilia.
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Altra possibile evoluzione vede la nomina di un nuovo premier antagonista a Khalifa Haftar, il personaggio centrale della Cirenaica e opposto ai governi di transizione sostenuti dall’Onu. In questo caso, l’ascendente di Haftar potrebbe reagire mobilitandosi per paralizzare nuovamente il Paese. Viceversa, l’insediamento di un leader gradito ad Haftar rischierebbe di creare forti resistenze e opposizioni, in particolare nelle aree di Tripoli e della Libia occidentale, dove i clan e le forze politiche si oppongono ai profondi legami con l’uomo forte della Cirenaica.
In questo quadro di incertezza e divisione, la stabilità della Libia appare ancora molto lontana dal recupero. Il rischio di un prolungato vuoto di potere, alimentato da tensioni interne e rivalità tra fazioni, rende il futuro del Paese estremamente incerto. L’attenzione internazionale rimane alta: il rischio è che l’instabilità libica possa riverberarsi su tutta la regione, aggravando le già complesse dinamiche di destabilizzazione nel Mediterraneo. Per l’Italia, questa situazione disegna un quadro preoccupante. Nonostante le attività di monitoraggio da parte dei servizi segreti e le auspicabili attenzioni politiche, la scarsa copertura e attenzione mediatica dedicata al dossier libico evidenziano una carenza di consapevolezza strategica a livello nazionale.