Dopo quasi due anni di conflitto devastante che ha provocato perdite umane e distruzioni su vasta scala nella Striscia di Gaza, le parti — Israele e Hamas — hanno annunciato un accordo preliminare mediato dagli Stati Uniti. Il patto, strutturato in fasi, mira a porre fine alle ostilità, scambiare prigionieri e gettare le basi per una gestione politica transitoria della zona.
Contesto del conflitto e spinte verso la mediazione
Le cause profonde
Il conflitto è esploso dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas in territorio israeliano, che hanno provocato centinaia di vittime e il rapimento di decine di ostaggi. In risposta, Israele ha avviato una massiccia operazione militare nella Striscia di Gaza, con raid aerei, assalti terrestri e bombardamenti che hanno causato, secondo fonti palestinesi, decine di migliaia di morti e vaste distruzioni. Il blocco di Gaza, le difficili condizioni sanitarie, la penuria di acqua, elettricità, generi di prima necessità hanno aggravato la crisi umanitaria in modo crescente.
L’accordo: struttura, punti chiave e limiti
Il “piano Trump” a 20 punti
L’accordo di pace si innesta su un piano statunitense presentato dal presidente Trump il 29 settembre 2025, articolato in 20 punti fondamentali per la cessazione delle ostilità e il riassetto politico di Gaza.
Tra le componenti principali si segnalano:
- Cessate il fuoco immediato e reciproco
- L’accordo prevede che le ostilità cessino non appena le parti ratificheranno l’intesa
- Ritiro parziale delle forze israeliane
Israele si impegna ad arretrare verso linee concordate all’interno della Striscia, liberando aree densamente popolate.
Scambio di ostaggi e prigionieri
Hamas libererà tutti gli ostaggi viventi; in cambio, Israele rilascerà migliaia di prigionieri palestinesi, alcuni con pene severe. Si parla di circa 2.000 palestinesi in cambio di circa 20 ostaggi israeliani viventi.
Accesso umanitario e apertura dei varchi
L’accordo prevede l’apertura di almeno 5 varchi per il transito di aiuti umanitari e la liberazione logistico-demografica di Gaza.
Governance transitoria e supervisione internazionale
Uno degli aspetti più delicati: il progetto prevede che, durante una fase transitoria, Gaza venga amministrata da tecnocrati palestinesi sotto supervisione internazionale (comitato o “Board of Peace”) con partecipazione di paesi terzi. Il disarmo di Hamas è indicato come condizione per l’avanzamento alle fasi successive.
Reazioni contrastanti
Il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’accordo “una decisione difficile ma necessaria per garantire il futuro di Israele e la sicurezza dei suoi cittadini”. Tuttavia, all’interno della coalizione di governo, le ali più radicali hanno criticato il piano, accusandolo di “premiare il terrorismo”. Dal lato palestinese, il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha parlato di “una vittoria della resistenza e della dignità del popolo palestinese”, pur riconoscendo che “la strada verso una pace giusta è ancora lunga”. Il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha salutato l’accordo come “un passo nella giusta direzione”, ma ha chiesto un processo politico unitario che includa anche la Cisgiordania.
Il ruolo di Washington
La diplomazia americana è stata decisiva nel portare le parti al tavolo. Il Presidente Trump, in un discorso alla Casa Bianca, ha parlato di “un giorno storico per il Medio Oriente e per l’umanità intera”. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha sottolineato che gli Stati Uniti “vigileranno sul rispetto dell’accordo e garantiranno che Gaza non torni a essere una base per il terrorismo”. Anche Egitto e Qatar hanno svolto un ruolo chiave nella mediazione, facilitando i contatti indiretti tra i negoziatori israeliani e la leadership di Hamas, rifugiata tra Doha e Beirut.
L’incognita del futuro
Nonostante il sollievo internazionale, molti osservatori invitano alla prudenza. Gli analisti del Carnegie Middle East Center avvertono che la fragilità dell’intesa dipende dalla capacità delle due parti di rispettare i tempi e gli impegni, in particolare sul disarmo e sul ritorno degli sfollati. Israele teme che Hamas possa riorganizzarsi militarmente, mentre i palestinesi diffidano della possibilità che le restrizioni e il blocco vengano realmente rimossi. Inoltre, il ruolo dell’Iran — tradizionale sostenitore di Hamas — resta un elemento di forte tensione regionale.
Una fragile speranza
Le strade di Gaza, ridotte a macerie, cominciano ora a ripopolarsi. Decine di famiglie sono tornate nei quartieri distrutti per recuperare ciò che resta delle loro case. “È la prima notte senza bombardamenti da quasi due anni”, racconta un abitante di Khan Younis. “Non sappiamo cosa succederà, ma almeno c’è silenzio”. Per la prima volta dopo anni, l’eco delle armi sembra tacere. Ma la pace, nella regione più instabile del mondo, resta un equilibrio precario: costruirla sarà molto più difficile che firmarla.
