L’Arabia Saudita rappresenta una delle potenze centrali del Medio Oriente, sia per il suo peso economico derivante dalle immense riserve energetiche, sia per il suo prestigio religioso in quanto custode dei luoghi santi dell’Islam, La Mecca e Medina. La sua politica regionale è caratterizzata da una duplice dimensione: da un lato il tentativo di affermarsi come leader del mondo arabo e sunnita, dall’altro la necessità di difendere la propria stabilità interna in un contesto regionale frammentato e competitivo. Negli ultimi decenni, in particolare dopo la Primavera araba del 2011 e l’ascesa dell’Iran come potenza regionale, Riyadh ha intensificato il proprio attivismo diplomatico e militare.
La centralità energetica e il soft power religioso
Il primo pilastro della potenza saudita è l’economia petrolifera. Con le seconde riserve mondiali di greggio e una posizione dominante all’interno dell’OPEC, l’Arabia Saudita ha potuto esercitare un’influenza diretta sui mercati globali dell’energia e, di riflesso, sulle dinamiche politiche internazionali. La sua capacità di regolare la produzione e i prezzi del petrolio ha spesso condizionato non solo le economie occidentali ma anche le relazioni con altri Paesi produttori. Parallelamente, il Regno ha fatto leva sulla sua centralità religiosa. Custodendo i luoghi santi dell’Islam, Riyadh si è posta come punto di riferimento per oltre un miliardo e mezzo di musulmani, rafforzando la propria legittimità e ponendosi come guida del mondo sunnita. Tuttavia, questa dimensione religiosa si è anche intrecciata con il sostegno storico al wahhabismo, una versione rigorista dell’Islam sunnita, che ha alimentato tensioni interne e critiche da parte della comunità internazionale.
Rivalità con l’Iran e dinamiche settarie
Il principale antagonista geopolitico dell’Arabia Saudita è l’Iran. La contrapposizione tra i due Paesi non si riduce a una semplice rivalità statale, ma si intreccia con la frattura settaria tra sunniti e sciiti. Teheran, dopo la rivoluzione del 1979, ha cercato di presentarsi come leader del mondo musulmano sciita e come avanguardia di un islam politico rivoluzionario. Riyadh, dal canto suo, ha visto in questo attivismo una minaccia diretta alla propria legittimità e sicurezza.
La rivalità si è tradotta in una serie di conflitti per procura:
In Yemen, i sauditi guidano una coalizione militare dal 2015 contro i ribelli Houthi sostenuti dall’Iran.
In Siria, Riyadh ha sostenuto fazioni sunnite anti-Assad, mentre Teheran ha sostenuto il regime di Damasco.
In Iraq, l’influenza iraniana sui partiti sciiti ha ridimensionato il peso saudita, che tenta di recuperare terreno con aperture economiche.
In Libano, l’Arabia Saudita ha sostenuto partiti sunniti in opposizione a Hezbollah, alleato di Teheran.
Questo scontro regionale ha rafforzato la dimensione securitaria della politica estera saudita, spingendo il Regno a intensificare spese militari e alleanze strategiche.
Relazioni con gli Stati Uniti e la ridefinizione delle alleanze
Storicamente, il legame con gli Stati Uniti è stato un pilastro della sicurezza saudita. Dal patto del 1945 tra Roosevelt e Ibn Saud, Washington ha garantito protezione militare in cambio di accesso privilegiato alle risorse energetiche. Tuttavia, tale relazione ha conosciuto momenti di tensione:
Dopo l’11 settembre 2001, dato che la maggioranza dei dirottatori erano sauditi. Durante l’amministrazione Obama, a causa dell’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA), visto da Riyadh come una minaccia. Con Biden, i rapporti sono stati messi in discussione per la questione dei diritti umani e l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Nonostante ciò, l’Arabia Saudita resta un alleato fondamentale per Washington, specialmente nel contenimento dell’Iran e nella stabilità dei mercati energetici. Parallelamente, Riyadh ha rafforzato i legami con potenze alternative come la Cina e la Russia, diversificando le proprie alleanze.
Normalizzazione con Israele e dossier palestinese
Un’altra trasformazione significativa è l’apertura verso Israele. Sebbene l’Arabia Saudita non abbia ancora formalizzato una normalizzazione dei rapporti, i contatti informali sono cresciuti, soprattutto in chiave anti-iraniana. Gli Accordi di Abramo, firmati da Emirati Arabi Uniti e Bahrein nel 2020, hanno aperto la strada a un potenziale avvicinamento saudita. Tuttavia, la questione palestinese rappresenta ancora un ostacolo: Riyadh mantiene ufficialmente la linea del piano di pace arabo del 2002, che prevede la normalizzazione solo in cambio della creazione di uno Stato palestinese. Ciò non esclude che in futuro il Regno possa decidere di avvicinarsi a Israele per consolidare la propria leadership regionale.
Politica interna e Vision 2030: riflessi sulla politica estera
Il progetto di modernizzazione interna promosso dal principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS), noto come Vision 2030, ha profonde implicazioni geopolitiche. La diversificazione economica, la riduzione della dipendenza dal petrolio e la proiezione internazionale del Regno come hub tecnologico e finanziario richiedono stabilità regionale e apertura a nuovi partner. Di conseguenza, la politica estera saudita oscilla tra assertività militare e pragmatismo diplomatico. Se da un lato MbS ha promosso un interventismo più marcato rispetto ai suoi predecessori, dall’altro ha cercato di ridurre conflitti troppo costosi, come dimostra il progressivo avvicinamento con l’Iran, mediato dalla Cina nel 2023.
Il ruolo nelle organizzazioni multilaterali e nel mondo islamico
Riyadh utilizza anche il canale delle organizzazioni multilaterali per consolidare la propria posizione. Nell’OPEC, guida le decisioni sulla produzione di greggio, spesso bilanciando interessi divergenti tra paesi membri. Nell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), il Regno si propone come portavoce del mondo musulmano, pur dovendo fronteggiare rivalità interne. Inoltre, la presidenza saudita del G20 nel 2020 ha rafforzato l’immagine di attore globale.
L’Arabia Saudita si colloca oggi come attore imprescindibile della politica mediorientale. Il suo ruolo si articola su più livelli: energetico, religioso, militare e diplomatico. La sfida principale per Riyadh consiste nel bilanciare l’assertività regionale con la necessità di mantenere stabilità interna e favorire lo sviluppo economico.
La rivalità con l’Iran, le relazioni complesse con gli Stati Uniti, l’apertura verso nuove potenze come la Cina, e il possibile dialogo con Israele definiscono i contorni di una politica estera in costante evoluzione. Se Vision 2030 dovesse avere successo, il Regno potrebbe trasformarsi da potenza petrolifera a polo di riferimento regionale in campo economico e tecnologico. Tuttavia, restano irrisolte questioni cruciali: la guerra in Yemen, la questione palestinese e le tensioni settarie.
In definitiva, l’Arabia Saudita appare destinata a mantenere un ruolo di primo piano nel Medio Oriente, ma la sua capacità di adattarsi ai mutamenti geopolitici e di coniugare potenza e legittimità determinerà l’effettiva portata della sua leadership.
