Se lo è chiesto lo studioso John Herz nell’ormai lontano 1950. Il secondo conflitto mondiale si era concluso da cinque anni, ma il mondo era già dentro la Guerra fredda (con tutto ciò che ne sarebbe conseguito nei decenni successivi).
Il dilemma della sicurezza indica una situazione nella quale le azioni intraprese da uno Stato, per aumentare la propria sicurezza (come il rafforzamento militare o la formazione di alleanze), vengono percepite dagli altri Stati come una minaccia, portandoli a loro volta a fare lo stesso, generando una spirale di sfiducia e potenziale conflitto, anche se nessuna delle parti desidera effettivamente la guerra.
In sintesi, una condizione nella quale un aumento della sicurezza individuale, di ciascuno Stato, genera insicurezza a livello mondiale.
Il dilemma della sicurezza è, secondo i realisti (di cui lo stesso Herz fa parte), la causa principale dei conflitti tra gli Stati. Questo perché il sistema politico internazionale viene rappresentato come un’arena, in cui gli stati vivono in una situazione di anarchia internazionale, in quanto non esiste un governo mondiale con una forza coercitiva, con un monopolio della forza e in grado di riportare l’ordine. Di conseguenza, è ciascun paese a doversi occupare della propria sicurezza.
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Preme evidenziare come la massimizzazione della propria sicurezza non implica necessariamente una situazione di insicurezza. L’insicurezza è, piuttosto, legata al fatto che gli altri stati non sappiano quale sia il vero obiettivo di un aumento della sicurezza di un certo Stato, e se questo può essere volto a sferrare un attacco futuro. Infatti, le azioni che di per sé sono difensive possono essere interpretate come offensive. Per questo motivo, per evitare uno squilibrio di potere, il risultato più probabile è una corsa agli armamenti (con una possibile guerra a lungo termine). Una percezione, anche sbagliata, può portare a un conflitto tra due o più parti, anche se queste non si percepivano inizialmente come minacce.
La storia offre qualche spunto interessante, per quanto attiene il dilemma della sicurezza. Prendiamo, ad esempio, il caso della Guerra fredda. Il Patto di Varsavia e la NATO, entrambe alleanze difensive, a causa delle rispettive politiche militari (come le installazioni di missili in Turchia e a Cuba) si trovarono a un passo dalla guerra nucleare, pur in assenza di un’aggressione diretta. E sono stati proprio la crisi dei missili di Cuba del 1962 e gli anni della divisione del mondo in due blocchi a presentare alcune possibili soluzioni a tale dilemma:
- Una comunicazione quanto più possibile diretta e trasparente: è il caso della linea rossa, tra la Casa Bianca e il Cremlino, istituita durante la Guerra fredda. L’obiettivo è ricevere i messaggi quanto più velocemente possibili, per evitare una escalation.
- Accordi sul controllo degli armamenti, anche per limitarne la corsa.
- Utilizzo di strumenti di soft power (come le misure di confidence building, con le quali ci possono essere scambi di informazioni, e la diplomazia).
L’obiettivo di queste misure è giungere a una fiducia reciproca, allo scambio di informazioni, alla condivisione di norme comuni. Il tutto per evitare che la sicurezza si trasformi in insicurezza.