Ogni giorno veniamo a contatto con la triste realtà di Gaza. Vediamo immagini, leggiamo notizie, e ascoltiamo testimonianze che raccontano la cruda realtà del conflitto: fame endemica, bombardamenti continui, ospedali al collasso, bambini sotto le macerie, e intere famiglie intrappolate in una gabbia di terrore. Nonostante questo, però, tendiamo a guardare da lontano, come se questa realtà fosse scollegata dalla nostra coscienza.
Proprio con questa consapevolezza, lo scorso 21 maggio ho partecipato alla conferenza “L’accesso negato: ostacoli e sfide nella protezione dei civili a Gaza”, presso l’Università di Trento. Un momento di confronto necessario che ha visto la partecipazione di due voci autorevoli e toccanti: Patrizia Benvenuti, ex funzionaria UNICEF che fra il marzo e il dicembre 2024 ha realizzato tre missioni umanitarie a Gaza, e Marco Pertile, professore e grande esperto di diritto internazionale dei conflitti armati.
Le loro testimonianze hanno svelato la cruda verità di ciò che sta avvenendo a Gaza: l’assistenza umanitaria non è solo ostacolata, ma trasformata deliberatamente in un vero e proprio strumento di potere. L’accesso umanitario, sancito dal diritto internazionale e fondamentale in tempo di guerra, è oggi sistematicamente negato ad oltre due milioni di persone.
Parlare di assistenza umanitaria nel contesto del conflitto israelo-palestinese è appropriato per tre ragioni: l’assistenza umanitaria tocca norme fondamentali del diritto internazionale umanitario, volte a proteggere i civili e garantire aiuti imparziali in tempi di conflitto; la posizione degli Stati e degli attori internazionali che si pronunciano su questa vicenda presentano un accordo quasi unanime sull’importanza dell’assistenza umanitaria; la crisi umanitaria a Gaza è gravissima, sembra non avere fine e ha conseguenze sempre più drammatiche per la popolazione.
Da queste considerazioni nasce un paradosso inquietante: nonostante sia presente un consenso generale sull’importanza dell’accesso umanitario, la crisi continua a peggiorare e non vengono intraprese azioni efficaci. Dal 7 ottobre 2024 si è continuato ad affermare che la situazione non fosse così grave e che la comunità internazionale fosse attivamente impegnata nella ricerca di soluzioni, ma la realtà è disastrosa: oggi, non c’è più alcuna giustificazione per il dibattito su un presunto double standard. Questa dinamica ci ricorda la vicenda del Ruanda: per settimane la comunità internazionale fu impegnata in un dibattito, sì giuridicamente importante, ma nel mentre si stava consumando una delle crisi umanitarie più gravi di sempre.
Come spiegato dal Prof. Pertile, secondo la Convenzione di Ginevra del 1949 – la più ratificata al mondo – gli Stati sono obbligati a garantire il passaggio dell’assistenza umanitaria. Israele non ha ratificato il Protocollo I ma resta pur sempre vincolato dal seguente principio: il consenso del belligerante è necessario ma non può essere negato arbitrariamente. Inoltre, l’assistenza umanitaria deve rispettare tre criteri: il criterio di umanità, imparzialità e non discriminazione. Indi per cui, anche nel caso di Gaza, Israele – la forza occupante – ha l’obbligo di fornire aiuti o di accettare quelli che provengono da terzi. In caso contrario, come sancito dallo Statuto di Roma, non solo viene violato il diritto internazionale umanitario ma anche quello penale: infatti, pratiche come la fame intenzionale o la deportazione forzata sono riconosciute come crimini.
Dal 2 marzo 2025, Israele ha bloccato l’ingresso degli aiuti umanitari, ha preso il controllo del valico di Rafah e ha impedito qualsiasi evacuazione medica. La giustificazione? La sicurezza. Ma potrebbe mai esistere una sicurezza che giustifichi la fame programmata di un intero popolo? Potrebbe mai esistere una sicurezza che legittimi la distruzione deliberata e sistematica di ospedali, scuole e rifugi dove le persone cercano di sopravvivere all’inferno quotidiano di Gaza?
Come riportato dalla Dott.ssa Benvenuti, le stime parlano chiaro: oltre 16.854 minori sono stati uccisi dal principio del conflitto – la cifra più alta di bambini uccisi in un singolo conflitto nella storia moderna; 25.000 bambini hanno subito lesioni permanenti che comportano disabilità irreversibili; l’82% delle strutture sanitarie e il 95% di scuole e università sono state danneggiate o distrutte; 2,1 milioni di persone (l’intera popolazione di Gaza) è colpita da una grave e prolungata da carenza di cibo, di cui 500.000 si trovano in condizioni di malnutrizione acuta, malattie e rischio di morte. Inoltre, anche gli operatori umanitari, quelli sanitari e lo staff della protezione civile sono nel mirino di Israele: 430 operatori umanitari, 1400 operatori sanitari e 110 membri della protezione civile sono stati uccisi (Fonte: OCHA). Non si parla di guerra, ma di punizione collettiva che giustifica la distruzione sistematica della vita civile a Gaza.
Le diverse agenzie delle Nazioni Unite, come l’UNICEF, l’OMS e il Segretario Generale Guterres parlano apertamente di disastro umanitario e continuano a sollecitare la necessità di un accesso immediato agli aiuti umanitari ma nessuno riesce – o vuole – imporre la legalità internazionale. Rimanere fermi a guardare, condannare Israele con ammonimenti e sanzioni non basta: significa accettare che la legalità internazionale sia negoziabile e non imprescindibile. Significa che i diritti umani possono essere messi da parte per ragioni politiche. Significa renderci complici. Complici di un sistema internazionale che permette questi orrori e che ogni giorno che passa, legittima la violenza, consolida l’ingiustizia e indebolisce l’integrità del diritto internazionale. Di fronte a crimini di tale portata il silenzio sistematico – sì, sistematico come la violenza che si pretende di condannare – assume una connotazione politica. Chi rimane in silenzio e preferisce guardare da un’altra parte, diventa complice di questa efferatezza, rendendo perpetua la sofferenza di quella povera gente che non ha fatto nulla di sbagliato se non trovarsi al centro di un conflitto che non ha scelto, vittima innocente di giochi politici e di potere che negano i diritti fondamentali di ogni singolo uomo.
Non servono più discorsi o dichiarazioni. Servono corridoi umanitari veri, immediata assistenza e un richiamo alla c.d Responsibility to Protect (R2P) degli Stati che hanno gli strumenti per mettere fine a tutto ciò, ma decidono di non farlo. L’indifferenza è una scelta che porta alla complicità ed essere complici, ci macchia dello stesso peccato di chi perpetra questo inferno in prima persona.
Salus populi suprema lex esto, quae lex integritatis, iustitiae, et humanitatis fundamentum est.
scriveva Cicerone nel De Legibus (IV)
La salvezza del popolo sia la legge suprema, perché essa rappresenta il fondamento dell’integrità, della giustizia e dell’umanità stessa. Agire con responsabilità e umanità è un dovere della comunità internazionale, non una scelta. Si tratta di un dovere morale imprescindibile che se non seguito, rischia di condannare a morte la nostra stessa umanità.