L’ultimo pacchetto di armi all’Ucraina (quello che, per intenderci, conteneva anche i famosi sistemi Patriot) era stato deciso dall’amministrazione Biden e per questo quella Trump ci aveva posto il proprio veto. Ma non nella persona del presidente, come ci ha tenuto a specificare lui stesso. “Non sono stato io a decidere lo stop all’invio delle forniture” è più o meno il riassunto dell’ultima telefonata con Zelensky.
Infatti la decisione è da attribuire a Pete Hegseth, l’attuale capo del Pentagono nominato peraltro proprio da Trump, ma è difficile credere che non abbia agito di comune accordo con la Casa Bianca. L’ira del Tycoon è probabilmente riconducibile al fatto che il fronte ucraino è l’unico in cui non è ancora arrivata una tregua. Una situazione che, nella testa dell’oligarca, potrebbe minare la sua candidatura al Premio Nobel per la Pace. Vera ossessione del presidente USA, che ora parla come Joe e fa le stesse cose che faceva Joe. Davanti ai giornalisti, infatti, Trump ha giustificato la scelta affermando che “inviare le armi a Kiev è giusto” perché “devono difendersi dai bombardamenti molto duri dei russi”.
Un riassunto semplificato della litania perorata per quasi quattro anni dall’amministrazione Biden, che Trump demonizzava dall’opposizione e che, in assenza di alternative percorribili, ha fatto sua. Con buona pace dei liberali nostrani, Trump non ci tiene a passare alla storia come colui che ha consegnato l’Ucraina a Putin ma altresì sta iniziando a rendersi conto di quanto complessa possa essere la chiusura del fronte Est Europeo. Dove la strada che condurrebbe ad un compromesso fra le parti è stata resa impervia dal mutamento delle condizioni sul campo di battaglia, aggravate da oltre tre anni di guerra.
Arrivano i Patriot: e ora?
Lo scorso 2 Luglio il Pentagono aveva dichiarato di aver interrotto le forniture di armi all’Ucraina in seguito ad una revisione degli arsenali militari, effettuata dopo la fine dei bombardamenti contro i siti nucleari iraniani, attraverso la quale aveva constatato una “insufficienza delle scorte”. Infatti, stando a quanto riportato, gli USA avrebbero a disposizione soltanto il 25% dei missili intercettori inizialmente disponibili. La scelta di limitare le forniture di aiuti esteri, però, è stata rapidamente rettificata, con il Pentagono che pochi giorni dopo (il 7 Luglio) ha annunciato che avrebbe rinnovato le spedizioni a Kiev.
La linea del Pentagono, che aveva apertamente parlato di “armi difensive per aiutare l’Ucraina a proteggersi nell’ottica di una pace giusta e duratura”, è poi stata ripresa dallo stesso Trump. Una giravolta arrivata, curiosamente, a poche settimane dal vertice NATO dell’Aja, dove i paesi aderenti al Patto Atlantico si erano impegnati ad aumentare l’impatto delle spese militari sul PIL fino al 5%. Nuovi armi da comprare, quindi. Presumibilmente dagli stessi USA, che infatti vogliono farsi commissionare dai propri “alleati” europei quei nuovi ordini di Patriot di cui Kiev ora come ora ha un disperato bisogno.
Infatti, stando a quanto riporta Axios che a sua volta cita una fonte anonima, Trump starebbe pensando di bypassare la scarsità di risorse “sfruttando” la Germania. Il 4 Luglio il Tycoon ha avuto un colloquio telefonico con il cancelliere tedesco Merz, non più collerico come gli albori del proprio mandato, che ha fruttato un viaggio del Ministro della Difesa tedesco Pistorius a Washington (programmato per fine mese) per discutere delle capacità produttive e dei programmi di consegna.
L’ira di Mosca: pace più lontana?
Per l’Ucraina, infatti, sarebbe troppo complesso acquistare direttamente dagli Stati Uniti, ma Kiev si è più volte detta disponibile ad acquistare armi tramite i paesi europei. Il problema è che questi ordini richiederebbero presumibilmente anni prima di essere smaltiti e il tempo è un lusso che l’Ucraina in questo momento non può proprio permettersi. La sensazione è di aver riavvolto il nastro e di essere tornati all’inizio della guerra, quando si parlava di “armare l’Ucraina per spingere Putin al negoziato”.
Tavolo negoziale dal quale Mosca non si è mai alzata, ma sul Cremlino è calato il gelo alla notizia che le forniture di armi a Kiev sarebbero riprese. Secondo Peskov, portavoce del governo russo, “è una scelta che allontana la pace”. E non è difficile credergli, considerando che questa strategia, in quasi quattro anni di guerra, non si è tradotta in alcun risultato. A Mosca si sono guardati bene dal puntare il dito contro il presidente americano, ma hanno fatto capire di non aver gradito alcune sue uscite pubbliche.
Come, per esempio, quando Trump si è detto “deluso” dal comportamento di Putin, reo di “non aver fermato i bombardamenti”. Questo nonostante la posizione della Russia, ovvero non accettare una “tregua armata” in cui l’Occidente continua a rifornire di armi Kiev, non sia mai cambiata in oltre tre anni di guerra. Ha poi definito come “stronzate” le parole proferite dal presidente russo durante i loro contatti telefonici, ma Putin è più avveduto di Rutte e quindi non ci è dato sapere a cosa si riferisse.
Sembra quasi che la “minaccia russa”, nella testa di Bruxelles e Washington, debba continuare ad esistere, in modo tale da giustificare il “doppio piano di riarmo” congiunto fra UE e NATO. Se la guerra si fosse effettivamente fermata, come inizialmente auspicato da Trump, sarebbe stato difficile giustificare agli occhi dell’opinione pubblica il passaggio di denari dallo stato sociale europeo alle fabbriche di armi nord-americane. Forse così Trump sarà costretto a rinunciare al malcelato obiettivo del Nobel per la Pace, ma è facile ipotizzare che possa comunque realizzare un altro tipo di tornaconto.