Negli attuali Stati Uniti si sta riaffermando la dottrina America First inaugurata nel secondo mandato del Presidente Trump. Questa visione della politica estera americana iper-selettiva ha comportato un rinnovato isolamento multilaterale e un attivismo unilaterale, con impatti rilevanti su alleanze consolidate, mercati globali e dinamiche geopolitiche.
Grandi direttrici e trend
- Tariffe e guerre commerciali
Donald Trump ha minacciato in questi ultimi giorni tariffe sostanziali, tra il 25% e il 40%, su alleati come Giappone, Corea del Sud, Unione Europea e Paesi BRICS con scadenza fissata al prossimo 1° agosto. Le reazioni internazionali alla politica estera americana sono state forti ed immediate, con condanne da parte di Cina, Brasile e Corea del Nord.
- Conflitto mediato e Guerra in Medio Oriente
Lo scorso 6 maggio gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco con i ribelli Houthi in Yemen, grazie alla mediazione dell’Oman, ponendo fine agli attacchi nel Mar Rosso. Per quanto riguarda, invece, la guerra di Gaza, gli Stati Uniti hanno ripreso le forniture di armi ad Israele ed Ucraina. Il dialogo tra Trump e Netanyahu ha aperto alla possibilità di un cessate il fuoco di 60 giorni.
- Politica estera americana: Nuovi equilibri con Cina e Russia
Con la Cina prosegue una parallela competizione tecnologica e militare. Trump ha rafforzato quad e AUKUS, mentre i dazi verso Pechino si aggravano, con rischi di decoupling. Dopo il summit con la Russia in Arabia Saudita dello scorso febbraio per cercare di concordare una soluzione alla guerra in Ucraina, il Pentagono, sotto la guida di Elbridge Colby, ha recentemente limitato gli aiuti militari a Kiev, irritando soprattutto gli alleati europei.
Strumenti di proiezione estera
- Economia coercitiva: dazi e sanzioni come strumenti primari di pressione; target globali anche tra alleati.
- Forza militare mirata: raid in Iran, sostegno deciso a Israele e Ucraina, aumentata presenza in Medio Oriente (USA e AUKUS).
- Rivalutazione delle alleanze: insistente richiesta di spese militari ai paesi NATO; possibile revisione delle garanzie di difesa.
- Diplomazia personalizzata: l’azione di Rubio nell’ Indo Pacifico, ma con stop improvvisi verso Gaza.
L’evoluzione della crisi iraniana e la politica estera americana
Dopo l’operazione israeliana Rising Lion dello scorso 13 giugno, gli Stati Uniti 9 giorni dopo hanno deciso di intervenire nella guerra tra Israele ed Iran, bombardando alcuni dei più importanti siti nucleari iraniani, scatenando la rappresaglia iraniana con attacchi mirati alle basi statunitensi in Qatar, Siria ed Iraq, in un’escalation denominata “Benedizione della Vittoria”. Parallelamente Washington, continua ad intensificare le sanzioni sull’export petrolifero dell’Iran, ma con un’applicazione irregolare, tanto che parte della produzione continua a fluire verso la Cina. Teheran ha manifestato apertura verso una ripresa negoziale, a patto che vengano formalmente garantite no-strike assurances per la durata dei colliqui. Si parla di un possibile incontro tra l’inviato americano Witkoff e l’iraniano Araghtschi già a Oslo. La crisi ha raggiunto un picco di conflitto aperto, ma la porta resta aperta a trattative, con l’Iran che chiede garanzie militari prima di tornare al tavolo diplomatico.
Il 2025 segna una forte virata della politica estera americana verso l’unilateralismo, la coercizione economica e la selettività strategica. L’approccio America First ridisegna le relazioni globali, spingendo gli alleati a cercare voce e risorse autonome, mentre gli Stati Uniti cercano di mantenere peso globale senza farsi carico del vecchio ordine multilaterale.