Dalla sua indipendenza nel 1971 fino al colpo di Stato avvenuto nel 1995 che ha posizionato sul trono il figlio dell’allora Emiro, Hamad bin Khalifa al Thani, il Qatar appariva come un piccolo e politicamente insignificante emirato della penisola araba, con un’economia stagnante e fortemente dipendente dall’Arabia Saudita per la sua sopravvivenza nello scenario regionale. Dal 1995 ad oggi il Qatar ha vissuto un boom economico di dimensioni notevoli che ha portato ad una crescita del prodotto interno lordo dagli 8.14 miliardi di dollari del 1995 agli oltre 200 miliardi di dollari nel 2024, con un impressionante tasso di crescita del 13.4% annuo. La scoperta dell’immenso giacimento di gas naturale di South Pars/North Field, a nord della penisola del Qatar e il suo sfruttamento, assieme all’Iran, iniziato proprio nella metà degli anni ‘90 aiuta a spiegare lo sviluppo economico che l’Emirato ha vissuto negli ultimi trent’anni. In concomitanza con il suo sviluppo economico il Qatar ha iniziato, partendo dai primi anni 2000 una vasta azione di mediazione internazionale, presentandosi come mediatore imparziale di numerosi conflitti, tra cui quelli in Yemen, Darfur, Libano, Palestina-Israele, Djibouti-Eritrea, Afghanistan e Ucraina. La sua centralità diplomatica ha permesso al piccolo stato del golfo di intessere relazioni diplomatiche e strategiche con attori posti agli antipodi dello scenario internazionale. La capitale, Doha, è infatti sede di uffici e delegazioni di Hezbollah e Hamas, ma all’interno dei confini dell’Emirato è anche presente la più grande base militare statunitense in Medio-Oriente, quella di Al Udeid, che ospita oltre 10.000 soldati a stelle e strisce e che garantisce al Qatar la designazione di ‘major non-NATO ally’ da parte del governo degli Stati Uniti. Inoltre il Qatar è anche lo stato del Golfo ad avere i legami più stretti e amichevoli con la Repubblica Islamica dell’Iran.
La posizione del Qatar, alleato strategico degli Stati Uniti, ma al contempo legato agli interessi Iraniani e spesso in contrasto con l’altra potenza regionale affacciata sul Golfo Persico, l’Arabia Saudita, come testimonia la crisi diplomatica che portò tra il 2017 e il 2021 ad un blocco terrestre, marittimo e aereo da parte del regno saudita nei confronti dell’emirato, ha destato grande curiosità tra gli studiosi di relazioni internazionali. Il Qatar infatti ha adottato una strategia politica internazionale che non riesce ad essere collocata negli schemi classici comportamentali di un piccolo stato. Le teorie classiche delle relazioni internazionali tendono a ridurre il comportamento di un piccolo stato nel sistema internazionale a due possibilità:
- Bandwagoning → allineamento ad un grande stato che minaccia la sopravvivenza di un piccolo stato (es. L’allineamento della Bielorussia alla Federazione Russa)
- Balancing → bilanciamento del grande Stato che minaccia la sopravvivenza di un piccolo stato mediante alleanze che si oppongono al grande stato (es. Il comportamento dell’Ucraina nei confronti della Federazione Russa).
Il comportamento del Qatar esula però da entrambe le possibilità presentate sopra. Le motivazioni sono da ricercare nella peculiare posizione geopolitica all’interno della quale il Qatar si inserisce. L’Emirato trae circa l’87% del proprio Prodotto Interno Lordo dalle esportazioni di petrolio e soprattutto di gas naturale, grazie allo sfruttamento della parte meridionale del giacimento sottomarino di South Pars/North Field condiviso tra Qatar e Iran, il più grande giacimento di gas naturale al mondo, dotato di una quantità di riserve pari a quelle di tutti gli altri giacimenti di gas naturale del mondo. Per esportare il gas di questo giacimento, il Qatar è costretto a sfruttare lo stretto di Hormuz, posizionato tra la punta nord-orientale della penisola araba e l’Iran meridionale. Un eventuale conflitto che veda coinvolto l’Iran e i suoi avversari principali, Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele andrebbe necessariamente a colpire lo stretto di Hormuz, che proprio come per il Qatar, rappresenta anche per l’Iran, la via di uscita principale per le proprie esportazioni.
Per questa motivazione risulta di interesse strategico fondamentale per il Qatar stabilizzare l’intera regione mediorientale. Da qua si ramifica la complessa strategia diplomatica dell’Emirato.
La strategia del Qatar è basata su un intreccio di risorse volte a migliorare la percezione dello Stato a livello regionale e internazionale con il fine di presentarsi come un soggetto neutrale e super-partes nelle tensioni della regione, ma anche globali, in grado di risultare di importanza strategica per tutte le parti in gioco mantenendo infine il suo status di potenza economica regionale.
La sua politica estera si compone di tre aree principali:
- Soft Power e Diplomazia Culturale
- Mediazione
- Bilanciamento tra gli Stati coinvolti nella regione
Soft Power e Diplomazia Culturale
Il concetto di soft power racchiude tutti gli strumenti in grado di persuadere, convincere e attrarre a sé determinati soggetti senza coercizione militare o incentivi economici. Se per una lunga parentesi del XX secolo gli Stati Uniti sono stati in grado di trasmettere un’immagine riconoscibile tramite film, sport, scienza, tecnologia, educazione, capace di attirare a sé una certa volontà di imitazione da parte di altri Stati e persone, il Qatar ha provato a fare lo stesso a partire dai primi anni 2000. Lo stato del Golfo ha iniziato questa strategia ospitando nel 2001 la prestigiosa conferenza inaugurale del ciclo di negoziati, ancora in corso, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Nel 2012 ha anche ospitato la COP18, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Sempre ad inizio anni 2000, la rete qatariota Al-Jazeera, è diventata il primo network globale del mondo Arabo, in grado di competere a livello internazionale con reti del calibro di CNN e BBC. La compagnia di bandiera, Qatar Airways, è stata premiata per 8 volte come miglior compagnia aerea mondiale. ‘Qatar Foundation’ è stata la prima sponsorizzazione apparsa su una maglia da gioco del club calcistico del Barcellona. Nel 2022, il Qatar ha ospitato il campionato mondiale di calcio. Infine, prestigiose università statunitensi (Cornell, Georgetown, Texas A&M) hanno aperto dei campus universitari all’interno dei confini dell’emirato, accrescendo l’appeal accademico dello stato, e spodestando altri paesi, in primis Libano ed Egitto, dal podio degli hub educativi dell’area MENA.
Mediazione
Disegnando accuratamente il suo ruolo di mediatore neutrale nei conflitti internazionali, la nuova costituzione del Qatar del 2003 afferma all’articolo 7 che ‘la politica estera dello Stato si basa sui principi del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, incoraggiando la conclusione delle dispute internazionali tramite strumenti pacifici’.
Usando inizialmente gli ingenti fondi di cui dispone per investire in aree post-conflittuali come incentivo negoziale il Qatar si è posizionato come mediatore nella scena regionale per poi, una volta acquisita l’immagine desiderata, espandere i propri confini alla scena globale. L’accordo tra Stati Uniti e Talebani del 2020, il dialogo statunitense-iraniano sul nucleare, le trattative tra Hamas e Israele sono avvenuti proprio a Doha, dimostrando la fiducia che tutti gli attori coinvolti nei negoziati, hanno sviluppato nei confronti della neutralità diplomatica del Qatar.
Bilanciamento
L’immagine che il Qatar è stato in grado di proiettare sulla scena internazionale ha permesso al piccolo stato arabo di mantenere la sua posizione regionale anche a discapito di crisi che avrebbero potuto spingere ad un cambio di rotta, sobillate in particolare dall’Arabia Saudita.
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L’accordo per la spartizione del giacimento di South Pars/North Field con l’Iran avrebbe sicuramente potuto destare preoccupazioni da parte degli Stati Uniti, impegnati per impedire alla Repubblica Islamica di portare avanti le sue politiche. Approfittando delle pressioni interne all’Arabia Saudita volte a rimuovere le basi militari Statunitensi dal suo territorio, il Qatar ha così sostituito il regno saudita come hub militare statunitense in medio-oriente, con l’apertura dell’immensa base di Al Udeid nella quale è stato stabilito un quartier generale avanzato del CENTCOM, il comando centrale unificato delle forze armate statunitensi in Medio Oriente ed Asia Centrale.
Al fine di ridurre le preoccupazioni iraniane riguardo ad un collocamento più ‘filo-occidentale’ del Qatar, dal 2012, Doha ha aperto le porte a funzionari dei gruppi filo iraniani di Hamas ed Hezbollah.
Allo stesso tempo l’emirato, pur non avendo normalizzato le proprie relazioni con Israele, ospita una delegazione commerciale permanente Israeliana all’interno dei propri confini.

Queste manovre politiche e diplomatiche di Doha hanno contribuito a rendere il Qatar un soggetto indispensabile per tutti.
Messo alla prova dal blocco totale imposto da Arabia Saudita, Bahrain, Egitto e Emirati Arabi Uniti nel 2017, il Qatar è uscito con una posizione politica ancor più accresciuta dalla crisi. Intimato ad abbandonare i rapporti con l’Iran e a bloccare le trasmissioni di Al-Jazeera, l’emirato ha invece mantenuto i propri rapporti diplomatici con Teheran e grazie alle pressioni statunitensi mosse nei confronti dell’Arabia Saudita, nel 2021 la crisi si è di fatto conclusa.
L’immagine che possiamo trarre del Qatar è quella di uno Stato che, stretto tra le due potenze antagoniste regionali dell’Arabia Saudita e dell’Iran, è stato in grado, grazie alle ingenti entrate economiche generate dall’esportazione di gas naturale, di costruire una politica estera autonoma grazie al suo ruolo di mediatore credibile che è stato capace di costruire assieme ad una rinnovata immagine del paese trasmessa a livello internazionale tramite vari strumenti di soft power e diplomazia culturale.