Tra Australia, Singapore, Corea del Sud e Filippine, un’ondata di elezioni sta travolgendo la regione dell’Indo-Pacifico, tutte raggruppate tra il 3 maggio e il 3 giugno. Queste elezioni arrivano in un momento critico, dove le sfide economiche, lo spostamento delle dinamiche di potere e le crescenti tensioni geopolitiche stanno fortemente condizionando il panorama politico. Gli effetti delle politiche commerciali del presidente americano Donald Trump continuano ad influenzare gli elettori: molti vengono spinti a favorire candidati incumbent – cioè, quelli in carica che cercano di essere rieletti – optando così per continuità e stabilità – come si è visto in Australia, a Singapore e nelle Filippine. La Corea del Sud è in questo contesto un caso ancora da vedersi, considerando anche le recenti crisi politiche avvenute nel paese, a partire dalla dichiarazione di legge marziale dell’ex presidente Yoon Suk-yeol. Le elezioni offrono un primo sguardo sulle priorità degli elettori dell’Indo-Pacifico, fornendo importanti segnali sulla direzione politica della regione e sul suo posizionamento a livello internazionale.

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Australia. Il 3 maggio scorso si sono tenute le elezioni parlamentari in Australia per rinnovare tutti i 150 seggi della Camera dei rappresentati e 40 dei 79 seggi del Senato. Il primo ministro in carica dal 2022, Anthony Albanese, ha vinto le elezioni e ha così ottenuto un secondo mandato: è la prima volta in più di vent’anni che un primo ministro viene rieletto per un secondo mandato, l’ultima volta fu nel 2004. Il partito di Albanese, il Partito Laburista Australiano (ALP) ha quindi sconfitto il Partito Liberale di Peter Dutton e il suo alleato, il Partito Nazionale d’Australia. Per Dutton si è trattata di una sconfitta molto dura, considerando che non è stato nemmeno rieletto in parlamento. La rielezione di Albanese non era tuttavia scontata: la campagna elettorale è durata solo cinque settimane e si è incentrata attorno alla figura del presidente statunitense Donald Trump. Secondo diversi analisti, l’impatto delle polemiche commerciali e delle sue posizioni internazionali avrebbe spinto gli elettori verso la stabilità e la continuità, un fenomeno che si è potuto osservare anche in Canada. Essendo poi Dutton allineato a Trump – di cui molti australiani hanno una pessima opinione – su vari temi, come l’immigrazione, i diritti civili e la necessità di ridurre sussidi e di ridimensionare la pubblica amministrazione, ha sicuramente risentito del duro approccio degli elettori verso il presidente americano. Nonostante il malcontento per l’alto costo della vita e la crisi del mercato immobiliare, l’ALP è riuscito a mantenere il sostegno popolare; anche le politiche climatiche sembrano aver giocato un ruolo chiave, visto che la mancanza di un piano convincente dell’opposizione sulle politiche energetiche ha migliorato l’opinione sul governo in carica, che ha portato il paese a produrre il 40% dell’elettricità da fonti rinnovabili. Come scrive The Diplomat, per Albanese questa vittoria significa avere la responsabilità di agire per mantenere le promesse sulla lotta alla crisi climatica.


Singapore. Sempre lo scorso 3 maggio a Singapore si sono tenute le elezioni parlamentari, vinte con un’eccezionale maggioranza del 65% dei voti dal Partito d’Azione Popolare (PAP), che governa la città-stato ininterrottamente dal 1965. Il partito del primo ministro uscente Lawrence Wong ha quindi superato l’opposizione del Partito dei Lavoratori guidato da Pritam Singh, in una vittoria mai davvero messa in discussione. Le elezioni erano state indette dopo lo scioglimento del parlamento lo scorso 15 aprile e si sarebbero dovute tenere tra la fine di luglio e l’inizio di novembre, ma Wong aveva deciso di indirle in anticipo, motivato dalle preoccupazioni per il calo di popolarità del partito e delle critiche rivolte al governo per la censura statale, il rigido controllo governativo e l’elevato costo della vita: secondo diversi esperti, queste elezioni infatti servivano soprattutto per testare il grado di popolarità del PAP tra la popolazione.

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Filippine. Lunedì 12 maggio si sono invece tenute le elezioni di metà mandato nelle Filippine, le quali hanno rappresentato un momento cruciale per la presidenza di Ferdinand Marcos Jr. Le midterm, infatti, sono tradizionalmente considerate un referendum sull’operato del presidente, e quest’anno sono state anche teatro di una battaglia tra le due principali dinastie politiche del paese: i Marcos e i Duterte. Dai risultati è evidente che la famiglia Duterte ne sia uscita rafforzata, come era previsto; le elezioni erano infatti particolarmente importanti per due membri della famiglia: l’ex presidente Rodrigo Duterte, attualmente detenuto nel carcere dell’Aia, e l’attuale vicepresidente Sara Duterte, sua figlia, sui cui è in corso una procedura di impeachment il cui risultato dipendeva molto da queste elezioni. Il primo ha significativamente vinto a Davao City, dove era candidato come sindaco, prendendo circa otto volte i voti del secondo candidato più votato. Duterte si trova però in carcere nei Paesi Bassi dopo essere stato arrestato a metà marzo su mandato della Corte penale internazionale con l’accusa di crimini contro l’umanità commessi durante la sua brutale “guerra alla droga”: a svolgere quindi l’incarico nella pratica sarebbe la persona eletta vicesindaco e quindi molto probabilmente suo figlio, Sebastian Duterte, peraltro sindaco uscente della città. I moltissimi voti per Rodrigo Duterte si spiegano anche col fatto che molti dei suoi sostenitori lo ritengono vittima di una campagna persecutoria orchestrata dal Marcos, la cui popolarità era infatti molto calata in seguito all’arresto. Per quanto riguarda Sara Duterte, per respingere l’impeachment deve avere almeno 9 senatori dalla sua parte, e lunedì sono stati eletti almeno 4 candidati vicini a lei: questo rende probabile che il Senato respinga la procedura di impeachment contro di lei. In generale le elezioni hanno segnato una battuta d’arresto per Marcos, che ha invece rafforzato il suo controllo sulla Camera dei rappresentati, ma meno seggi del previsto al Senato. È importante sottolineare che, mentre l’amministrazione Marcos ha cercato di rafforzare i legami con gli Stati Uniti, il campo Duterte ha mostrato una maggiore propensione verso la Cina, enfatizzando una possibile collaborazione economica: questa divergenza potrebbe portare a riallineamenti nella regione con possibili ripercussioni sugli equilibri strategici del Mar Cinese Meridionale.

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Sud Corea. La campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 3 giugno in Corea del Sud è ufficialmente iniziata. Dopo mesi di crisi politica culminata con l’impeachment del presidente conservatore Yoon Suk-yeol, il candidato favorito è il progressista Lee Jae-myung, leader del Partito democratico di Corea, eletto dopo la sua vittoria alle primarie del partito. Lee ha promesso di aumentare il bilancio per la ricerca e lo sviluppo e investire molto nell’intelligenza artificiale. Inoltre, vuole fare della difesa una delle industrie chiave del paese, aiutare le imprese locali e rafforzare il soft power coreano dando più fondi all’industria dell’intrattenimento. Dall’altra parte, il partito conservatore People Power Party, a cui Suk-yeol apparteneva, è molto diviso: la convention di partito per presentare la scelta del candidato alle presidenziali è stata un disastro. Alla fine, il partito conservatore ha scelto come candidato Kim Moon-soo, ministro del lavoro fino a inizio aprile. In ogni caso, Lee ha buone probabilità di diventare il prossimo presidente, succedendo a Yoon; tuttavia, le sue attuali vicende giudiziarie potrebbero diventare un potenziale problema. Qualche giorno fa, il processo contro di lui è stato rimandato a dopo le elezioni del 3 giugno, ma se il tribunale dovesse trovare Lee colpevole dopo una sua ipotetica elezione, la sua posizione politica potrebbe risultare indebolita fin dall’inizio del mandato.

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Mi chiamo Sara e racconto il mondo con parole scelte con cura. Dopo una laurea in comunicazione giornalistica e una formazione in lingue per l’editoria, mi sono specializzata nella scrittura di politica estera, con un focus su Europa e Asia. Collaboro a progetti editoriali e newsletter indipendenti, dove unisco l’approfondimento all’attualità, con uno sguardo critico attento anche alle questioni di genere e alla rappresentazione nei media. Parlo cinque lingue, elemento che arricchisce e orienta il mio lavoro di analisi e scrittura internazionale.

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