Gustav era un agente segreto di livello mondiale, o almeno così si vantava spesso. Tuttavia, la sua filosofia di “segreto a tutti i costi” a volte lo portava a comportamenti un po’ bizzarri, che finivano per smentire la sua stessa riservatezza. E in un contesto come quello di Doha, nel cuore pulsante del Medio Oriente, nulla passava inosservato.


Era un mattino caldo e afoso di inizio primavera quando Gustav si trovò sulla Corniche, la lunga passeggiata lungomare che si affaccia sul Golfo Persico. Il suo obiettivo era semplice: raccogliere informazioni su un tecnico misterioso, sospettato di essere coinvolto in attività illegali. Gustav aveva parcheggiato una berlina nera poco lontano, con i vetri oscurati, e si aggirava con un’aria di innocente turista.

Il problema era che, per essere “il migliore agente segreto”, aveva un talento innato per far cadere le sue coperture. Oggi, aveva deciso di indossare un cappello di paglia e occhiali da sole grandi e vistosi, convinto che così avrebbe evitato di attrarre attenzione. Ma il cappello era troppo grande, e gli occhiali troppo appariscenti per sembrare semplicemente un turista banale.

Mentre si aggirava, notò un uomo che si muoveva nervosamente tra i negozi di souvenir e i caffè all’aperto. Decise di avvicinarsi, fingendo di essere anche lui un turista smarrito.

“Ciao,” disse Gustav, con un sorriso goffo. “Puoi indicarmi dove si trova il Museo d’Arte Islamica?”

L’uomo lo scrutò con attenzione, un po’ diffidente, ma rispettando il suo ruolo di “turista alle prime armi”, rispose: “Eh, sì, basta seguire questa strada, poi girare a destra e troverai il museo.”

Gustav cercò di nascondere la sua soddisfazione, ma troppo nervoso per mantenere un’aria naturale, inciampò sul bordo del marciapiede e finì per cadere di faccia. La gente intorno si voltò a guardarlo, ma invece di restare zitto, Gustav si rialzò con un sorriso imbarazzato e cercò di riprendere la sua scena di normale turista.

Nel frattempo, il suo obiettivo di sorveglianza aveva notato Gustav e, con un mezzo sorriso ironico, decise di avvicinarsi. Era un uomo distinto, con un abbigliamento molto elegante, che sembrava più interessato a scattare foto ai turisti che a nascondere attività losche. Gustav, troppo impegnato a giustificarsi con uno sconosciuto, si lasciò sfuggire qualche parola troppo forte.

“Ehm, scusi se sono un po’ agitato,” balbettò Gustav. “Ma sono… ehm… in missione molto importante.”

L’uomo lo guardò, divertito. “Missione importante?” ripeté. “E cosa stai cercando, il mio passaporto?”

Gustav, sentendosi un po’ a disagio ma anche divertito, tentò di cambiare discorso. “No, niente, solo… un souvenir. Sì, un souvenir da portare a casa.”

Ma ormai la sua copertura era sfumata, e le sue parole vennero notate da passanti e turisti, che iniziarono a commentare divertiti. Gustav, nel tentativo di sembrare naturale, cominciò a fare gesti troppo strani con le mani, attirando ancora più attenzione.

A quel punto, un agente in borghese che aveva assistito all’intera scena si avvicinò, cercando di capire cosa stesse succedendo. Quando Gustav tentò di recuperare, affermando di essere “appassionato di storia araba”, l’agente non riuscì a trattenere una risata: “Sei il peggior agente segreto che abbia mai visto,” gli disse con tono scherzoso.

Gustav si arrese, tra risate e imbarazzo. La sua missione, quella che avrebbe dovuto passare inosservata, si era trasformata in una gag comica tra ironia e ridicolo. Alla fine, anche il suo superiore gli impose qualche battuta sarcastica: “Se vuoi essere un vero agente segreto, forse dovresti imparare a comportarti come tale, invece di sembrare il turista più sfortunato di Doha.”

Gustav si strinse nelle spalle, sorridendo amareggiato. Aveva capito che, forse, il suo talento per il travestimento e il subdolo impegno non erano sostituti di una vera strategia. Mentre cercava di riprendersi, notò che il suo obiettivo, l’uomo misterioso, aveva assistito a tutta la scena con un sorriso malizioso. Questi si avvicinò con passo tranquillo, un sorriso di chi aveva già capito tutto.

“Sei… piuttosto dirompente, per essere un agente nascosto,” disse l’uomo, con tono che oscillava tra il plauso e il divertimento.

Gustav sbuffò. “Sì, beh, forse non sono fatto per il clandestino. La verità?”

L’uomo rise. “Sei troppo evidente, Gustav. Non puoi andare in missione così. Ti serve uno stile, un’astuzia che non hai. Però, devo ammettere, sei anche divertente.”

Gustav si grattò la testa, un po’ imbarazzato. “Allora, come si fa? Come si fa a essere un vero agente segreto?”

L’uomo si avvicinò ancora di più e abbassò la voce.

“Prima di tutto, smettila di sembrare un turista spaesato. Secondo, ascolta più attentamente e muovi i piedi con più discrezione. E soprattutto,” rise, “l’ultima cosa che devi fare, Gustav, è cercare di sembrare un pompato in vacanza!”

Il riso di Gustav si unì a quello dell’uomo. In fondo, anche se aveva fatto una figura pietosa, aveva imparato qualcosa di importante: il segreto di essere segreti non sta nel travestimento, ma nella calma e nella discrezione — anche se, a volte, la vita e le missioni ti portano a essere un po’… scemo.

L’uomo gli strinse la mano con un sorriso. “Ti do un consiglio, Gustav: torna a casa, studia un po’ di più, e la prossima volta che ti manda il mio superiore, spera che non ti faccia scendere in piazza in cappello di paglia.”

Gustav rise, anche se sapeva di dover fare i conti con una figuraccia epica. Tornò alla sua auto, che sembrava quasi un’astronave aliena tra la folla di Doha, e si mise in viaggio con un solo pensiero: la prossima missione? Forse, meglio imparare a muoversi… senza cadere.

Mentre usciva dalla Corniche, si voltò un’ultima volta, sorridendo tra sé. L’arte del segreto, pensò, non è nel non farsi scoprire, ma nel saper ridere di sé stessi anche davanti a tutto il mondo. E questa, forse, era la vera vittoria di Gustav, l’agente che non riusciva a passare inosservato… nemmeno quando voleva.


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