Dopo i raid israeliani che hanno colpito Teheran, il clima in Iran si fa sempre più teso e instabile. Secondo quanto riportato dal New York Times, il Leader Supremo Ali Khamenei ha deciso di interrompere ogni contatto digitale con i suoi collaboratori e di adottare misure straordinarie per garantire la propria sicurezza e la stabilità del regime.
In risposta agli attacchi, ritenuti i più violenti dai tempi della guerra contro l’Iraq degli anni ‘80, Khamenei ha avviato la strategia di preparare la sua successione, designando tre potenziali successori nel caso venisse eliminato. Un risultato che riflette non solo la crescente incertezza politica, ma anche la paura di un’ulteriore escalation militare.
L’Iran si trova ora in uno stato di massima allerta, con il governo che intensifica i controlli e mantiene le proprie strutture operative all’interno di una rete di sicurezza molto ristretta. La crisi interna si intreccia con quella regionale, alimentando un clima di tensione e incertezza che rischia di coinvolgere l’intera regione mediorientale.
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Gli analisti sottolineano come questa situazione rappresenti un punto di svolta per il paese, con il rischio di una destabilizzazione ancora maggiore e di un prolungato conflitto che potrebbe avere ripercussioni anche sul piano internazionale.
Iran in tensione: Khamenei si prepara alla successione
Teheran vive ore cruciali mentre il Leader Supremo Ali Khamenei, 86 anni, cerca di consolidare il suo potere in un momento di crisi senza precedenti. Dopo aver lanciato due messaggi pubblici registrati, in cui ribadisce che l’Iran “non si arrenderà a una guerra imposta”, il leader ha anche richiesto all’Assemblea degli Esperti di prepararsi a una transizione immediata nel caso di sua morte. Tra i possibili successori, il nome di suo figlio Mojtaba, spesso citato come possibile erede, non compare tra i candidati indicati, mentre l’ex presidente Raisi, considerato un possibile successore, è deceduto nel 2024.
Il clima geopolitico rimane altamente instabile, con gli Stati Uniti considerati un ulteriore elemento di rischio. Washington possiede l’unica bomba in grado di penetrare i siti nucleari iraniani più protetti, come l’impianto di Fordow. Un intervento militare statunitense potrebbe scatenare una reazione iraniana contro interessi americani e regionali, con conseguenze imprevedibili per l’intera regione.
Nel frattempo, le autorità iraniane hanno quasi completamente isolato il Paese: internet è stato oscurato, le chiamate internazionali sono bloccate e chi collabora con il “nemico” è stato invitato a costituirsi entro domenica, pena l’esecuzione. Nella capitale, autostrade deserte, checkpoint ovunque e un senso di paura e isolamento diffuso. Paradossalmente, questa crisi ha anche temporaneamente ricompattato l’iraniano medio. La nazione, divisa da anni tra fazioni, proteste e tensioni sociali, sembra aver ritrovato un senso di unità di fronte alla minaccia esterna. Anche la Premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi, nota oppositrice del regime, ha condannato l’aggressione esterna, continuando a battersi per un futuro democratico. Tra i nomi meno discussi ma comunque rilevanti nella corsa alla successione di Khamenei si trovano tre figure di spicco del clero sciita. Alireza Arafi, attuale direttore delle scuole religiose di Qom, Sadeq Larijani e Ahmad Khatami rappresentano diverse anime del mondo religioso e politico iraniano, ciascuno con caratteristiche e influenze diverse. Sebbene nessuno di loro abbia ancora un sostegno unanime o un consenso assoluto, la loro possibile candidatura emerge come un punto di equilibrio in un contesto di crescente frammentazione tra le élite iraniane, rendendo il futuro della leadership religioso-politica ancora più incerto e complesso.
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L’Iran si trova così a un crocevia storico, tra minacce di guerra e sfide interne che potrebbero ridefinire il suo destino nei mesi a venire.