La Siria sta vivendo una svolta storica: il regime di Bashar al-Asad, al potere da quasi cinquant’anni, è stato scalzato dai ribelli, aprendo una fase di transizione tanto attesa quanto incerta. La rapidità con cui le forze di opposizione hanno preso il controllo delle principali città, inclusa la capitale, segna la fine di un’epoca e l’inizio di un periodo che potrebbe ridisegnare gli equilibri del Medio Oriente.
La vittoria dei ribelli non è il risultato di un movimento unitario, ma di un mosaico di gruppi con obiettivi e alleanze diverse. Tra le forze principali figurano le Forze Democratiche Siriane (SDF), sostenute dagli Stati Uniti e concentrate nel nord-est, dove da anni cercano di consolidare una forma di autonomia curda; l’Esercito Nazionale Siriano (SNA), appoggiato dalla Turchia; e Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), un tempo affiliato ad al-Qaeda, ora impegnato a ridefinirsi come forza politica nazionale.
HTS, in particolare, sembra destinato a giocare un ruolo centrale nella transizione. Dal 2017 il gruppo ha gestito la provincia di Idlib, sviluppando un modello di governance autoritaria ma pragmatica, distante dall’ideologia jihadista del passato. La gestione dei servizi locali e la capacità di mantenere l’ordine suggeriscono un approccio volto a ottenere legittimità interna, sebbene il futuro delle relazioni con gli altri gruppi resti incerto.
Le reazioni alla caduta del regime sono contrastanti. In molte città, popolazione e oppositori hanno celebrato la fine di decenni di oppressione; nel nord-est, invece, le comunità curde osservano con apprensione gli sviluppi, preoccupate per la propria sicurezza e autonomia. Sul piano internazionale, il ruolo di potenze come Russia, Iran e Turchia, e la posizione degli Stati Uniti, rimane ancora parzialmente indefinito.
Nonostante la rapidità della conquista del territorio, la transizione appare relativamente ordinata. Alcune istituzioni statali continuano a funzionare sotto la supervisione del primo ministro Mohammad Ghazi al-Jalali, evitando un collasso totale del sistema. Resta da capire se questa fase segnerà un vero “regime change” o se le forze emergenti riusciranno a stabilizzare il Paese senza precipitare in un nuovo conflitto.
La Siria del doporegime si trova così di fronte a sfide complesse: garantire sicurezza e servizi, gestire le tensioni tra fazioni rivali e ottenere riconoscimento internazionale. La storia recente insegna che la caduta di un regime autoritario, se non accompagnata da una visione politica chiara e da consenso interno, può trasformarsi in caos prolungato. La prossima fase sarà decisiva: da come verranno gestiti questi delicati equilibri dipenderà non solo il futuro della Siria, ma anche la stabilità di un’intera regione.
