Firmato nel 1968 in piena Guerra Fredda, il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) rappresenta uno dei pilastri dell’architettura globale per la sicurezza. Con l’obiettivo di impedire la diffusione delle armi nucleari, promuovere il disarmo e garantire l’uso dell’energia nucleare, il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) ha raccolto l’adesione di 191 Stati.
Il quadro attuale: chi possiede arsenali nucleari?
Secondo alcune fonti aggiornate a gennaio 2025, esistono nove poteri nucleari: cinque riconosciuti dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) (Usa, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) e quattro esterni (India, Pakistan, Israele, Corea del Nord). Lo stock nucleare globale ammonta a circa 1224 1 testate, di cui 9614 disponibili e 2100 in stato di pronta risposta. Gli Stati Uniti e la Russia detengono circa il 90% delle testate, con arsenali conteggiati rispettivamente a 5459 e 3700 unità. Ad oltre cinquanta anni dalla sua nascita il Trattato di non proliferazione nucleare si trova in un momento critico: le tensioni geopolitiche, i nuovi equilibri multipolari e le sfide tecnologiche mettono a dura prova l’efficacia e la legittimità.
I tre pilastri del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP)
Il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) si fonda su tre pilastri fondamentali:
Non proliferazione: gli Stati non dotati di armi nucleari si impegnano a non acquisirle, mentre quelli già dotati si impegnano a non trasferire tecnologie nucleari ad altri.
Disarmo: i NWS accettano l’obiettivo di disarmo generale e completo, anche se senza scadenze vincolanti. Questo punto è il più controverso, soprattutto perché molti Stati percepiscono una mancanza di reale volontà dei Paesi nucleari nel rispettarlo.
Uso pacifico dell’energia nucleare: tutti gli Stati hanno il diritto di sviluppare e utilizzare la tecnologia nucleare per fini civili, sotto il controllo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).
Le tensioni geopolitiche
India, Pakistan ed Israele non hanno mai firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). La Corea del Nord, invece, vi ha aderito nel 1985, ma si è ritirata nel 2003 e da allora ha condotto numerosi test nucleari. Questa realtà alimenta l’accusa di un sistema a “due velocità”, dove solo alcuni Paesi hanno diritto all’arma atomica, mentre gli altri vengono penalizzati.
Il caso dell’Iran rappresenta una delle maggiori sfide contemporanee al Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPO) del 2015 aveva temporaneamente contenuto il programma nucleare iraniano, ma il ritiro degli Stati Uniti nel 2018 ha innescato una crisi che perdura ancora oggi. L’Iran, pur restando membro del Trattato di non proliferazione nucleare, ha progressivamente ridotto la sua cooperazione con l’AIEA, avvicinandosi alla soglia nucleare. Il Memorandum di Budapest del 1994, in cui l’Ucraina rinunciava alle armi nucleari sovietiche in cambio di garanzie territoriali, è stato violato con l’annessione della Crimea nel 2014 e l’invasione russa del 2022. Questi eventi hanno minato la fiducia nella validità delle garanzie offerte dal Trattato di non proliferazione nucleare, rafforzando la tesi di chi sostiene che solo le armi nucleari garantiscono la sovranità nazionale. Il Trattato di non proliferazione nucleare rimane ancora un punto di riferimento centrale per la sicurezza internazionale, ma è sempre più sottoposto a pressioni sistemiche. Per sopravvivere e rimanere efficaci, necessita di una riforma politica profonda, che includa:
- impegni più concreti verso il disarmo;
- una maggiore inclusione degli Stati non aderenti;
- un rafforzamento del ruolo dell’AIEA;
- un dialogo globale sulle nuove minacce nucleari e tecnologiche.