Il 22 maggio 2017, Salman Abedi si fece esplodere all’uscita del concerto di Ariana Grande presso la Manchester Arena, uccidendo 23 persone e ferendone oltre 250. Si tratta tutt’oggi del peggior attacco avvenuto in Regno Unito dopo gli attentati di Londra del 7 luglio 2005.
Salman Abedi era un 22enne britannico, figlio di libici che nel 2011 decisero di tornare in Libia per unirsi alle milizie anti-Gheddafi durante la prima guerra civile.
Abedi, quindi, non era un combattente tornato da un campo di addestramento estremista ma era un cittadino britannico, nato e cresciuto nel Regno Unito. Questo risulta importante da sottolineare perché dimostra che la minaccia terroristica non è solo di natura esterna, ma può crescere anche all’interno dei nostri confini.
Questo aspetto è emerso in modo preponderante nell’inchiesta condotta da Sir John Saunders (poi pubblicata in tre volumi) che ha evidenziato una serie di errori e di mancanze presenti nel sistema di sicurezza britannico: il servizio di Intelligence britannico MI5 aveva sottovalutato la portata della radicalizzazione di Abedi. Questa errata interpretazione da parte dell’intelligence britannica e la mancata comunicazione tra i vari dipartimenti dell’intelligence ha portato al compimento dell’attacco.
Come sostenuto da Saunders, se l’MI5 avesse agito in base alle informazioni che aveva – informazioni che non sono state pubblicate ma si sa per certo che il suo nome apparve più volte nei database d’intelligence, anche per contatti con individui già monitorati – avrebbe addirittura potuto fermare Abedi all’aeroporto di Manchester al suo ritorno dalla Libia, appena quattro giorni prima dell’attentato.
Un altro aspetto importante emerso dall’inchiesta è la natura del processo di radicalizzazione di Abedi. Un processo che non fu isolato, ma all’interno di una rete famigliare e comunitaria che ebbe un ruolo centrale. Come già anticipato, i genitori di Abedi – originari di Tripoli – erano già noti per il loro sostegno alle milizie anti-gheddafi ma anche il fratello, Hashem Abedi, svolse un ruolo emblematico. Infatti, fu condannato perché direttamente coinvolto nella preparazione dell’attentato, aiutando il fratello Salman nella pianificazione e nella ricerca dei materiali necessari.
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Questo coinvolgimento familiare dimostra che la radicalizzazione non dipende solo da infleunze esterne ma anche da realtà domestiche e relazionali che approvano e legittimano l’ideologia jihadista.
L’attentato di Manchester è un caso studio che offre molti spunti per una riflessione teorica, in particolare se prendiamo in considerazione il realismo offensivo di John Mearsheimer.
Secondo questa teoria, gli Stati operano in un sistema internazionale anarchico e devono agire in modo proattivo per garantire la propria sopravvivenza.
Applicando il realismo offensivo di Mearsheimer alla vicenda, il fallimento del Regno Unito nel prevenire l’attentato dimostra de facto la mancata capacità dello Stato di neutralizzare una minaccia terroristica. In una realtà in cui le minacce assumono sempre più una natura ibrida, la sicurezza nazionale non può essere limitata alla reazione, ma si deve concentrare soprattutto sulla prevenzione.
La prevenzione deve essere il primo strumento di difesa dello Stato e deve basarsi su una strategia articolata su più livelli. Il monitoraggio di determinati soggetti già noti non basta: devono essere coinvolte intelligence e forze di polizia ma anche istituzioni e comunità. Essere in grado di identificare – in tempo – possibili segnali di radicalizzazione e intercettare i processi che alimentano realtà estremiste è centrale.
Lo Stato deve promuovere una cultura della sicurezza, fondata su valori come inclusione e dialogo con comunità e minoranze locali perché prevenire significa anche controllare quelle aree della società marginate dove il radicalismo trova terreno fertile.
Come sostiene Mearsheimer nel capitolo 2 “Anarchy and the struggle for Power” della sua opera intitolata “The tragedy of great power politics” del 2001:
States in the international system also aim to guarantee their own survival. Because other states are potential threats, and because there is no higher authority to come to their rescue when they dial 911, states cannot depend on others for their own security.
Ne consegue che se uno Stato non è in grado di anticipare le minacce e non investe in un sistema di difesa multilivello, finisce per mettere a rischio la sicurezza dei propri cittadini.
Ignorando le possibili e potenziali minacce – o reagendo solo dopo la loro concretizzazione – significa – creare in modo indiretto – delle falle in cui attori non regolari come reti jihadiste possono infiltrarsi. Seguendo Mearsheimer, uno stato deve sopravvivere, e per farlo deve prima di tutto essere in grado di prevenire.
Gli attentati di Manchester e l’indagine poi svolta sull’MI5 dimostrano che gli errori commessi non furono solo operativi ma soprattutto strategici: sottovalutare un soggetto più volte segnalato, i suoi legami familiari e il suo ritorno da una zona come la Libia, risultò fatale.
Manchester è una lezione preziosa sia per il Regno Unito che per l’Unione Europea ma, più in generale, per ogni Stato. La strategia migliore per assicurarsi un alto livello di sicurezza ed evitare che una qualsiasi minaccia diventi concreta si basa su una prevenzione efficace, accompagnata da cooperazione e attenzione sistematiche.