La guerra tra Israele e Iran è iniziata lo scorso 13 giugno, segnando una drammatica escalation nel conflitto che coinvolgeva i due Paesi già dal 2024. L’operazione israeliana, denominata Rising Lion, ha colpito siti nucleari, militari e infrastrutture strategiche iraniane, provocando la morte di almeno 406 persone in Iran, tra cui 14 scienziati nucleari e alti ufficiali dei servizi segreti della Guardia Rivoluzionaria. Israele ha subito dichiarato che l’obiettivo era smantellare il programma nucleare iraniano, accusato di sviluppare nuove armi atomiche. In risposta l’Iran ha lanciato oltre 150 missili balistici e più di 100 droni, colpendo città israeliane come Tel Aviv, Gerusalemme ed Haifa.
La posizione della comunità internazionale
Il conflitto ha avuto ripercussioni a livello globale, con un aumento dei prezzi del petrolio ed interruzioni nelle rotte commerciali internazionali. La comunità internazionale ha espresso immediatamente preoccupazione, con l’Unione Europea che ha convocato riunioni urgenti e gli Stati Uniti che hanno cercato di mediare tra le parti anche se senza successo. Israele ha esteso lo stato di emergenza fino al 30 giugno e ha promesso di continuare gli attacchi strategici. Il Presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato di non sostenere un cambio di regime in Iran, ma ha sottolineato la necessità di una soluzione diplomatica. L’Unione Europea ha convocato una riunione urgente di tutti i Ministri degli Esteri per discutere della crisi in atto in Medio Oriente. L’Europa ha sottolineato la necessità di trovare una soluzione diplomatica, pur ribadendo il diritto di Israele all’autodifesa. Inoltre, l’Unione Europea sta valutando l’espansione delle sanzioni contro l’Iran, in particolare per quanto riguarda i droni e i missili, e contro chi fornisce armi iraniane a gruppi proxy in Medio Oriente.
I Paesi del Golfo stanno cercando di mantenere una posizione neutrale, evitando di schierarsi apertamente con Israele o con l’Iran. Temono fortemente che qualsiasi coinvolgimento possa esporli alle ritorsioni iraniane, come attacchi alle loro infrastrutture petrolifere. Le Monarchie del Golfo stanno cercando di navigare tra la necessità di mantenere la stabilità regionale, le relazioni economiche e le alleanze strategiche. Oggi la comunità internazionale si trova divisa tra il sostegno ad Israele all’autodifesa e la preoccupazione per le conseguenze di un conflitto su larga scala. Mentre alcuni Paesi cercano di mediare e promuovere il dialogo, altri temono che l’escalation possa portare ad una destabilizzazione ancora maggiore della regione.
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I possibili sviluppi futuri del conflitto
Le prossime tappe del conflitto tra Israele ed Iran dipenderanno da una complessa combinazione di fattori militari, diplomatici e strategici. Israele potrebbe intensificare i suoi attacchi contro obiettivi militari strategici iraniani inclusi alcuni impianti nucleari non colpiti, basi della Guardia Rivoluzionaria ed infrastrutture energetiche. L’Iran, dal canto suo, potrebbe aumentare il numero della portata dei missili lanciati contro Israele, coinvolgere Hezbollah e le milizie sciite in Iraq e in Siria in un attacco coordinato. Questo scenario rischierebbe di creare una guerra regionale su vasta scala, con il possibile coinvolgimento del Libano, della Siria, e indirettamente, di Paesi come l’Arabia Saudita e la Turchia. L’opzione più probabile nel breve termine sembra essere un’escalation controllata, con attacchi mirati e contrattacchi limitati, in attesa di una finestra diplomatica. Un ruolo importante potrebbero ritagliarselo alcune grandi potenze come gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, ma anche la comunità internazionale e la tenuta dei governi coinvolti nel conflitto.